Voce del verbo disperdere. Rovinare, dissipare. Non solo la conseguenza negativa di una azione che rovina qualcosa, la sciupa. Che rende peggiore di quello che è. Ma anche dissipare, far sparire, dissolvere. Prima c’è, poi non c’è più. La annientazione totale. Il non essere.

La prima immagine che mi viene in mente è quella di una dispersione “fisica”, “dividere mandando o cacciando in varie direzioni” da un punto quindi centrale, in asse (perchè no, in equilibrio) “disseminando qua e là” come un bracciante che affonda le dita a piene mani nella sua saccoccia di liuta, afferra i semi e li getta con ampi movimenti attorno a sè. Distratto, senza badare a dove andranno a finire, ma allo stesso tempo attento e pieno di speranza per quei grani che daranno vita a nuova vita. Forza costruttrice.

“…riuscendo così a togliere forza all’insieme e talora a distruggerlo”, però. Ed è un togliere forza sfibrante, continuo e incessante. Che indebolisce l’intero, l’insieme. L’entità.  Che riesce a spezzarne l’energia vitale, “e talora a distruggerlo”. Distruggere quell’insieme. La compattezza che si frantuma,  si disperdono i pezzi. Dall’uno all’indefinito. Non ci sono più confini, niente è più allineato. Tutto si consuma, tende all’auto-distruzione. La fine.

Anche le energie si disperdono. Quando si sprecano. Delle forze a disposizione se ne fa un cattivo uso e allora le risorse che c’erano ed erano lì, vengono a mancare. Restano non sfruttate o sfruttate in modo sbagliato. Si sprecano, si consumano senza criterio. E ancora una volta è il non essere. La dispersione. La distruzione.

Si disperdono le persone, quando invece di agire di comune accordo operano disgiuntamente, ognuna in modo autonomo ma vicendevolmente in conflitto. Una disarmonia “che rende più difficile – o in alcuni casi impossibile – il raggiungimento dello scopo comune”. Ci si disperde dagli altri e con gli altri; ma anche da se stessi, quando le parti del nostro “tutto” si scompongono per scopo, intento e destinazione. L’intero si scompatta. L’unità si annienta ed è un (letteralmente) mandare in perdizione. Alla malora.

Dispersione di luce, energia, calore. Che può avere anche un significato positivo, lì dove si trovi qualcuno o qualcosa a “ricevere” tale irradiazione. E allora c’è passaggio, scambio, costruzione. E nulla si spreca. Altrimenti è pura perdita.

Scomparire. Una dispersione talmente fitta, ampia ed estesa che diventa scomposizione di sé. Troppi pezzi, troppo piccoli, troppo difficili da raggiungere per tornare a essere inventati (= farne inventario). Disperdersi in vane ricerche.

Con un significato meno materiale o figurato, disperdersi vuol dire anche “non riuscire a un effetto”, essere inefficace, rimanere sterile. Forse è anche per questo che, anticamente, questa parola era usata anche come sinonimo di “abortire” partendo proprio dal concetto di eliminazione, annientazione del prodotto di un concepimento. Dinamica che, in astratto, si può riportare proprio al processo fisico/ creativo/ concreto: arrivare a un non risultato, alla non produzione pur essendo passati attraverso tutto il percorso di travaglio, investimento di tempo ed energie. Dispersione è stanchezza, frustrazione.

E’ disperso chi risulta irreperibile, sbandato, scomparso. Uno smarrimento irrimediabilmente definitivo, oppure alle volte recuperabile. Il soldato che non rientra al proprio reparto alla fine della guerra o la persona di cui non si hanno più tracce o notizie dopo una catastrofe (il greco “capovolgimento”, katastrophé). E quale che sia la natura fisica o emotiva della sciagura in questione, non fa alcuna differenza.

 

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Comunicazione è prima di tutto condivisioneCon-dividere.Prendere qualcosa, un tutto, un intero e non limitarsi a fruirne in solitaria bensì spartirlo, dividerlo con l’altro.
Credo nella comunicazione, nella condivisione. Nell’arte e nello scambio. Nell’incontro e nel confronto. Nell’ispirazione e nell’estensione delle idee. Nell’arricchimento continuo. Credo nella scrittura, nella musica e nelle parole.
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Maria Romana

 

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