Firenze. Bar della stazione. Un ragazzo e una ragazza sono seduti a un tavolino e hanno già finito di bere il loro caffè.
Lei è italiana, ha dei lunghi e ricci capelli biondi e al collo un piccolo ciondolo a forma di perla. Lui parla inglese, ha la pelle chiara ma i colori scuri e quando la guarda non riesce a sorridere senza strizzare gli occhi in una espressione che è piena di tenerezza. Ha uno sguardo bello, brillante. Come se lei, che gli è seduta di fronte, lo illuminasse a ogni occhiata, ogni parola, ogni accenno di sorriso.
Parlano. Lui gesticola, lei sorride.
Aspettano. Lei racconta, lui strizza gli occhi.
Credo che in realtà nessuno dei due stia dicendo cose davvero interessanti. Ma si guardano e si sganasciano dal ridere. L’uno è rapito da ogni singolo impercettibile dettaglio dell’altra. E’ una danza di sguardi, millimetri, particolari.
Lei si tocca i capelli, lo guarda e distoglie lo sguardo.
Lui parla, sorride, la guarda e distoglie lo sguardo.
Se si incontrano con gli occhi, è un torneo da velocisti al primo che rientra nei propri ranghi. Ma che bisogno c’è di incontrarsi con lo sguardo quando si stanno già toccando e accarezzando con le anime? E’ per questo che stanno lì, a far finta di sorseggiare il loro caffè che è già finito da un po’. A giocare con le dita che picchiettano nervose sul tavolo e a parlare di cose ma in realtà a dirsene altre.
Non riesco a non guardarli. Non riesco a essere più misurata nel mio ruolo di spettatrice indiscreta e ficcanaso. C’è così tanta delicatezza e autenticità in quel volersi, cercarsi e imbarazzarsi. In quell’incertezza, la paura dello slancio. Il batticuore per un istante in sospeso. L’insaziabile fame di un sapore nuovo e sconosciuto.
Ma che senso ha, mi chiedo, tutto quel gesticolare senza neanche provare a sfiorarsi una mano? Tutto questo risparmiarsi. Gli sguardi persi, sprecati. Le bocche che continueranno
a parlare, a dire cose e a non farne altre. I ricci che resteranno intatti, elastici al vento, invece di intrecciarsi tra dita e palmi di una mano. Brividi dispersi, sussulti mancati. Si spreca tempo, si spreca spazio. Exprecari: mandare in malora.
E’ davvero il bacio che non si sono ancora dati, il più bello che si scambieranno? Sarà veramente l’abbraccio più intenso quello in cui si devono ancora perdere?
No. “Non è ammissibile uno sbaglio“. Soprattutto se “la visuale è nitida. Nel suo mirino, il suo bersaglio. E tra il dire e il fare è un cinico, un clinico intento. Se la vita è tutta singoli, intangibili momenti, ogni istante è l’ultimo” (“Killer – Ogni istante è l’ultimo” / Lo Zoo di Venere).
Kiss the Girl, ragazzo che strizza gli occhi. Ogni istante è l’ultimo.
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Comunicazione è prima di tutto condivisione.
Con-dividere.Prendere qualcosa, un tutto, un intero e non limitarsi a fruirne in solitaria bensì spartirlo, dividerlo con l’altro.
Credo nella comunicazione, nella condivisione. Nell’arte e nello scambio. Nell’incontro e nel confronto. Nell’ispirazione e nell’estensione delle idee. Nell’arricchimento continuo. Credo nella scrittura, nella musica e nelle parole.
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Maria Romana